Clôture de l'amour
A proposito di questo spettacolo
Clôture de l’amour è chiaramente la fine di una storia. Racconta la separazione di una coppia che cerca di mettere fine alla propria storia. Sono mossi dalla rabbia e dalla necessità urgente di dividersi. Ma Clôture de l’amour può anche essere un inizio, perché clôture, che in italiano non si può tradurre esaustivamente con chiusura, significa anche racchiudere, e lo spettacolo racchiude qui lo spazio dedicato all’anima, lo spazio che definisce l’individuo come un territorio in carne ed ossa da difendere.
Anna e Luca, i due personaggi che si affrontano sul confine del palcoscenico, si fronteggiano con un linguaggio essenzialmente organico e persino coreografico, costruendo con le parole una barriera di filo spinato che li divide e ripetendo in continuazione in modo ossessivo espressioni che sembrano vorticare nei loro corpi.
Due soliloqui che non possono interrompersi a vicenda, due flussi verbali separati che non si fermerebbero se non fosse per l’irruzione improvvisa di un gruppo bambini in scena. «Se dovessi andare più a fondo in quello che sento, lo descriverei come un testo di danza» dice Pascal Rambert.
Una danza mentale in un certo senso che porta alla luce il movimento invisibile dell’anima e dei nervi in palcoscenico. Si potrebbe dire che i corpi non si muovono, eppure si lascia il teatro con la sensazione che è questo che hanno fatto per tutto il tempo: muoversi e combattere una battaglia interiore ma una battaglia rivelata allo spettatore dalla propria abilità di proiezione – un’abilità quasi olografica, l’abilità di costruire il movimento dal discorso, sì, puro linguaggio, come se la scena non avesse altro scopo che questa virtualità e non avesse altra sostanza se non quella che noi ci mettiamo.