Io parlo ai perduti
Debutto: Teatro delle Passioni, Modena, 10 /11/2009
A proposito di questo spettacolo
«Se avessi avuto altri amici, o non li avessi avuti affatto, sarei diventato un grande narratore, prima della caduta del fascismo; e dopo lo sarei rimasto»
Così Antonio Delfini (Modena, 1907-1963), geniale funambolo del nostro Novecento letterario, apriva Il ricordo del ricordo, la prefazione all’edizione 1956 della sua raccolta di racconti Il ricordo della Basca. Il folgorante attacco è senz’altro esemplificativo della lucidità e dell’eleganza della penna delfiniana, ma pure del carico di frustrazioni patite da questo autore dall’impareggiabile delicatezza di tocco narrativo nel rapporto con la “società” letteraria a lui contemporanea.
Figura tra le più originali del bel mondo culturale italiano tra fascismo, dopoguerra e prime avvisaglie del boom, Delfini frequenta in quegli anni alcuni degli esponenti più in vista dell’intellighenzia nazionale: Guanda, Garboli, Pannunzio e poi ancora Montale, Gadda, Landolfi, Luzi e tutta la cerchia fiorentina del Caffè Le Giubbe Rosse. Da alcuni fu stimato, da altri osteggiato o sfruttato, spesso compatito per via della sua quasi patologica timidezza nel pubblicare. Una timidezza che certo ha concorso ad appannarne la fama – a petto di “sodali” tanto più determinati nel cercare il pubblico riconoscimento –, ma che sicuramente non ne ha corrotto la naturale grazia ed arguzia di eterno “giovin signore”, anche negli ultimi anni segnati dalla povertà e dalla solitudine.
L’amicizia, dunque, insieme al senso delle occasioni appassite, di una disfatta arrivata prima ancor che cominciasse la partita – e con ciò stesso quasi una vittoria nei confronti della stolidità dell’esistenza –, sono alcuni dei luoghi più caratteristici della scrittura e della vita di questo grande autore “perduto”. Luoghi affettuosamente rivisitati dallo scrittore e critico Roberto Barbolini nel suo Io parlo ai perduti. Le vite immaginarie di Antonio Delfini, testo teatrale in scena al Teatro delle Passioni per la regia di Claudio Longhi.
Barbolini si interessa alle pagine di Delfini sin dagli anni della giovinezza, prima come lettore eccentrico, poi da critico promettente e infine accogliendone le paradigmatiche figure come compagne di viaggio nella propria fortunata produzione letteraria, culminante quest’anno nel debutto del suo primo copione. Nel ruolo di drammaturgo Barbolini lavora di fantasia tratteggiando una malinconica cornice narrativa di sapore squisitamente delfiniano e concentrando l’azione attorno a un fantomatico appuntamento tra Delfini e il grande amico Mario Molinari. In un luogo inquietante, evocatore della fine dei sogni e della vita, a margine dell’incontro tra Antonio e Mario, si accendono le schermaglie tra il grande scrittore ed una caleidoscopica galleria di figure, emblematiche dei rocamboleschi commerci di Delfini con la politica, l’eros, la morte e la cultura del Novecento.
Al regista Claudio Longhi la messa in scena di questa scrittura a più voci, letteralmente impregnata del senso incombente dello scacco esistenziale, ma come alleggerita da un languido andamento di blues. Per dirla ancora con Delfini: «Nella vita, in fondo, la realtà esiste e non esiste. […] La vita è piena di piccole cose inspiegabili, e in essa tutto si compendia: magia, sogno, assurdità, piacere e dolore, lavoro e pigrizia… ecco la realtà!»
Dati artistici
foto di Rolando Paolo Guerzoni