Padri e figli: note di regia
“Padri e figli è innanzi tutto un progetto, frutto di collaborazione, condivisione e investimento su studio e formazione, nato nel 2016 e sviluppatosi con modalità e tempistiche più libere e fuori dai percorsi ordinari. Proprio per questo ringrazio di cuore tutte le persone che ci hanno creduto e i teatri che lo hanno prodotto, abbracciato e sostenuto. Più siamo andati avanti nel lavoro, più il tempo è passato, più siamo rimasti ad aspettare, più il presente complesso e incerto che ci troviamo a vivere ci avvicina a Turgenev e ci fa sentire il calore delle sue parole e dopo l’ultima tappa di allestimento ad aprile scorso, ancora in piena pandemia, eccoci finalmente qui, felici di incontrare il pubblico e di poter “costruire” insieme, quel palcoscenico, quello spazio, quel tempo indispensabile per l’ascolto.
Da molto tempo amo questo straordinario romanzo di Ivan Turgenev in cui scorre la ricchezza e l’orrore della vita. Il Centro Teatrale Santacristina, diretto da Roberta Carlotto, mi è sembrato il luogo adatto per conoscerlo meglio, per verificarne le sue potenzialità e i suoi parametri vitali: infatti è lì che il lavoro ha avuto la sua genesi, in un contesto di formazione appunto. In quel luogo meraviglioso che mi lega alla figura straordinaria di Luca Ronconi, che lo ha creato, mi sono voluto porre la domanda: “quale è l’eredità dei padri e quale è il futuro dei figli?”.
Questa domanda portante, a mio avviso, del romanzo di Turgenev, è ciò che mi guida in questo lungo viaggio. Padri e figli è un romanzo che fu molto criticato al suo esordio, romanzo che probabilmente scontentava tutti, i padri conservatori e i figli progressisti poiché tutti apparentemente ne uscivano sconfitti. Mi sembra che la posizione di Turgenev sia estremamente esistenziale e mi sembra di riconoscere contraddizioni in ogni personaggio da lui descritto, lasciandoci intravvedere gli abissi e le debolezze dell’essere umano e soprattutto la sua incapacità di emanciparsene o di affrontarle. Ed è proprio quella sconfitta che mi ha interessato: il difficilissimo tentativo di Turgenev di abitare quel disagio e quell’incomprensione.
Le fondamenta su cui abbiamo appoggiato il nostro lavoro partono da un adattamento del romanzo reso possibile dall’autorevole presenza nel lavoro di drammaturgia e di traduzione del Professor Fausto Malcovati. Il suo essere generosamente anche in scena nei panni dell’autore Turgenev ha un valore importantissimo per me e per tutti noi: la possibilità e la necessità di dialogare con un riferimento insostituibile, un maestro, depositario di un sapere che non può che illuminarci la strada. Ho voluto da un lato assecondare il carattere del romanzo e quindi non negare le sue dilatazioni e il suo lento sviluppo, dall’altro cercare la teatralità e la possibile sintesi di un capolavoro magistralmente scritto, ma che nasce per essere letto. Da qui l’idea di provare ad indagare i possibili punti di vista da cui guardare il testo: da lettori di oggi che si mettono in rapporto con questa storia e con le sue tematiche, da personaggi che utilizzano la narrazione per raccontarsi attraverso il loro punto di vista, da una possibile figura di autore che si confronta con le sue creature, mettendole in relazione e attraversandole tutte per cercare di capire dove collocarsi nel mondo.
Mantenere? Demolire? Costruire? O trasformare il passato di cui siamo figli, provando a leggere il presente e cercando un futuro che non si vede ancora? È commovente con quanta poesia e struggente leggerezza Turgenev riesca a parlarci. «L’importante è sapere chi sei e verso dove vuoi andare»: questo ci dice Turgenev. E io credo proprio che sia vero, anche se tutto questo è inutile senza ricostruzione sociale, senza democrazia, senza cultura, senza un ascolto profondo e rispettoso per l’amore e per la vita.
Bazarov ha, da un lato, la forza e il talento di un visionario capace di demolire un ordine costituito e un passato obsoleto, è in grado di prendere le distanze da un presente mostruoso e corrotto e potrebbe con i suoi occhi tracciare un ponte con il futuro per dare risposte alle nuove generazioni; ma dall’altro ha anche in potenza la violenta degenerazione della sua coerenza. Bazarov innesca una miccia che ci interroga tutti e mi sembra di cogliere nel suo esaurimento finale, un grande gesto di accettazione del limite umano e la consapevolezza dell’orrore che può scaturire dalla sorda convivenza tra gli uomini.
Affidato alla forza, alla vitalità e al talento di tredici attori e alla partitura musicale di Giovanni Vitaletti, portare in scena oggi questo romanzo significa interrogarsi ancora sull’ “uomo” e sulla crisi di un’epoca, sulla libertà e sull’eterno e difficile confronto tra le generazioni, tra le classi sociali e con il potere. I duelli, le barriere e gli scontri ideologici che Turgenev ci racconta, sembrano prevedere tutti i fallimenti storici e fanno risuonare tutte le contraddizioni umane, quelle domande universali necessarie alle sfide del nostro tempo”.
Fausto Russo Alesi
Padri e figli: una polveriera
Lo sfondo: una Russia sconvolta da guerre (quella di Crimea del 1855, da cui esce clamorosamente sconfitta), da riforme (che arrivano nel 1861, mettendo in una crisi catastrofica per decenni l’economia), da scontri tra opposte ideologie (slavofili contro occidentalisti), tenute a freno da una polizia opprimente, onnipresente. Ma Turgenev non scrive un romanzo storico, scrive per i suoi contemporanei che queste cose le sanno, le vivono quotidianamente sulla loro pelle. Quello che a lui importa è, su questo sfondo, muovere personaggi che s’interrogano sul “che fare” in una situazione di totale instabilità. Due ragazzi, Arkadij e Bazarov, appena usciti dall’Università, cercano la loro strada. Non sanno, in realtà, dove andare. Una cosa è certa: la società in cui vivono è un disastro, va rifiutata. Ai padri rinfacciano di averla costruita male, di aver imposto modelli di vita inaccettabili, obsoleti, superati. E li contestano furiosamente, categoricamente. È il loro primo passo. Ma poi?
È qui che Turgenev nel suo romanzo fa un balzo straordinario verso la modernità. Contestare non basta. Al di là delle parole, bisogna avere un progetto, un piano, una prospettiva. Bisogna andare da qualche parte. Se no, rischiano di essere parole al vento. Via i vecchi valori? Benissimo, ma quali sono i nuovi? Ne sappiamo qualche cosa noi oggi: il ’68 ci ha liberato, ma siamo sicuri? E oggi possiamo chiederci, da che cosa?
Turgenev non è mai ideologico: anche in questo modernissimo. L’ideologia da sola porta in un vicolo cieco. Di fronte ai due giovani di Padri e figli, che inneggiano al nihil, c’è qualcosa di ben diverso, c’è la vita. Per diventare adulti bisogna saperla affrontare, entrarci dentro, accettarne le sfide, vincerle o perderle, non importa. E la vita è fatta non di parole ma di esperienze concrete, di sentimenti che hanno una loro forza autonoma: Bazarov, imbevuto di nichilismo, non ha tenuto conto che quelli non si possono negare. Ed è lì, come dice Majakovskij, che s’incaglia la nave. Lo capisce bene l’Odincova: l’amore che Bazarov le offre è invasivo, prepotente, possessivo, non rassicura, destabilizza, devasta.
E, nella sua saggezza di donna che conosce la vita, lo rifiuta, sceglie la tranquillità, sceglie quelle che lei chiama “le rotaie”. Lo stesso, in fondo, fa Arkadij, dopo la breve temperie nichilista: scegli l’amore sereno, concreto, costruttivo per Katia. E rientra nella struttura famigliare che aveva così duramente contestato nelle prime pagine del romanzo, diventa, come il padre, un buon possidente. Come ha fatto la stragrande maggioranza dei sessantottini, oggi padri di famiglia con un solido impiego. Resta l’enigma Bazarov. E’ davvero uno sconfitto, un perdente? O un potenziale terrorista, uno di quelli che vent’anni più tardi faranno saltare su una bomba lo zar e il suo seguito? Un enigma che Turgenev lascia aperto.
Turgenev, drammaturgo esperto, è un maestro dei dialoghi: ogni personaggio ha la sua lingua, la sua inflessione, la sua cadenza. I padri parlano con raffinatezza (Pavel, per esempio, ha continue incursioni nel francese), la loro è una lingua colta, che ha alle spalle ampie letture dei grandi, come il contestatissimo Puškin. I figli rispondono con frasi asciutte, perentorie, talora aggressive. La Odincova, anche nel modo di esprimersi è convenzionale, controllata. Gente semplice invece i genitori di Bazarov: una lingua fatta di diminutivi, vezzeggiativi, proverbi, qualche ampollosità, molte espressioni pittoresche legate alla terra, alla natura. Ma l’arte di Turgenev sta soprattutto nel raccontare quello che i dialoghi non dicono o sottintendono: i retroterra, gli stati d’animo, i pensieri, il “non detto”.
Ridurre per la scena Padri e figli ne ha rivelato la straordinaria materia teatrale, ne ha portato alla luce tutta la forza. Una sorta di rinascita di un testo che non ha mai smesso di coinvolgerci.
Fausto Malcovati
Teatri in prova - Padri e figli
Il romanzo di Ivan Turgenev diventa uno spettacolo corale con 13 giovani attori diretti da Fausto Russo Alesi, con la presenza in scena e la consulenza drammaturgica di Fausto Malcovati.
Ascolta QUI l’intervista a Fausto Russo Alesi e Fausto Malcovati a cura di Laura Palmieri per Teatri in prova – Padri e figli
Lectio magistralis di Fausto Malcovati
Padri e figli: i personaggi
Un affondo nel romanzo Padri e figli, alla scoperta dei personaggi che costellano le pagine del libro e che vedremo in scena.
Padri e figli: il trailer
Padri e figli: Corriere della sera - La Lettura
Leggi QUI l’intervista a cura di Laura Zangarini per il Corriere della sera – La Lettura.
Padri e figli: officina creativa
Padri e figli - TGR Emilia - Romagna /Rainews.it
Servizio di Pasquale Notargiacomo per il TGR Emilia – Romagna /Rainews.it.
Le parole di Turgenev contro la guerra
Il confronto-scontro tra generazioni, il potere, la libertà.
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Padri e figli: voce ai protagonisti
Il Caffè di Bolzano29
Le collaborazioni artistiche
Fausto Russo Alesi
Diplomato alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi, è oggi uno degli attori più interessanti della sua generazione. Più volte protagonista di spettacoli di Luca Ronconi, ha lavorato tra gli altri, con Roberto Andò, Carlo Cerciello, Gigi Dall’Aglio, Martin Kusej, Valter Malosti, Eimuntas Nekrosius, Carmelo Rifici, Peter Stein, Serena Sinigaglia e Gabriele Vacis. Tanti i ruoli nei quali si è distinto per le notevoli capacità interpretative e grazie a cui ha ottenuto numerosi riconoscimenti fra cui il Premio della Critica Italiana, il Premio E.T.I. e tre Premi Ubu.
Nel 2012 ha realizzato, diretto e adattato un’originale e apprezzata versione di Natale in casa Cupiello di Eduardo De Filippo, della quale era l’unico interprete. Tra le sue regie ancora Edeyen di Letizia Russo, 20 Novembre di Lars Noren e Cuore di Cactus di Antonio Calabrò. Al cinema è stato diretto molte volte da Marco Bellocchio e tra gli altri, da Roberto Andò, Sergio Castellitto, Saverio Costanzo, Marco Tullio Giordana, Gianluca Iodice, Carlo Mazzacurati, Mario Monicelli, Stefano Mordini, Andrea Segre, Silvio Soldini e per la televisione da Carmine Elia e Marco Turco.
Con Emilia Romagna Teatro Fondazione ha lavorato nel 2019 come attore diretto da Claudio Longhi ne La commedia della vanità di Elias Canetti.
Nella stagione 2017/18 e 2020/2021, Fausto Russo Alesi ha preso parte del corpo docente del corso Allievo attore (approvato da Regione Emilia-Romagna e co-finanziato dal Fondo Sociale Europeo) della Scuola Iolanda Gazzerro di ERT.
Fausto Malcovati
Fausto Malcovati ha insegnato Letteratura e Teatro russo nelle Università di Pavia, Bari, Milano.
Ha pubblicato saggi e monografie sui principali prosatori della seconda metà dell’Ottocento fra cui Dostoevskij, Tolstoj, Gončarov.
Si è occupato dei maestri russi della regia di inizio Novecento, pubblicando biografie e scritti di Stanislavskij, Mejerchol’d, Vachtangov.
Giovanni Vitaletti
Giovanni Vitaletti studia pianoforte al Conservatorio di Milano poi con François Joël Thiollier a Parigi. Il suo battesimo concertistico è stato con Peter Maag, poi in Europa, Asia e America. Per il teatro collabora con Peter Stein, Glauco Mauri, Giancarlo Sepe, Massimo Castri, Marco Sciaccaluga, Giorgio Rossi. Lavora con Maddalena Crippa, Maria Paiato, Sonia Bergamasco, Paolo Ferrari e il compositore Arturo Annecchino. Registra per Rai Radiodiffusione, Radio Uno, Radio Tre, NDR. Collabora con Fausto Russo Alesi, componendo le musiche per Cuore di Cactus (2011), Natale in casa Cupiello (2012), Mumù (2012).