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PROLOGO #Passeggeri

[…] Erano seduti in un teatro vuoto. Sei tu, John? aveva detto.
Il lungo era stravaccato in una poltroncina in cima alla sala. Per un po’ non rispose. Poi disse: Sono io […]. Per modo di dire.
Il respiro di uno solo nel silenzio. Rimase in ascolto. Che dire? Mi fa piacere vederti, John.
Grazie [...] Fa piacere essere visto.
Mi mancavano le nostre chiacchiere.
Anche a me. Come ci sei finito qui?
In un teatro.
Eh.
Non so bene. Forse c’entra il fatto che un teatro non può mai essere al buio. Cosa che pochi sanno.
Un teatro non può mai essere al buio?
No. La vedi quella luce alle tue spalle?
Sì?
È sempre accesa. Indipendentemente da tutto. Sai come si chiama?
No.
Si chiama luce fantasma.
E cos’è, ce n’è una in ogni teatro?
Sì. Una in ogni teatro.
Ed è sempre accesa. Giorno e notte?
Giorno e notte. Sì. Non c’è scampo.
No.
Anni di vagabondaggi catturati nel ricordo di un istante. E come forse avrai notato un teatro vuoto è vuoto di tutto. È una metafora del mondo abbandonato che fu. In ogni caso sembra uno strano posto in cui venire a chiedere notizie. Ti senti bene?”
Direi di sì.
Perché sei qui?
Non so esattamente.
Non è cambiato niente.
No.
[…]
Suppongo che alla fin fine quello che abbiamo da offrire sia solo quel che abbiamo perduto.

da Il passeggero di Cormac McCarthy, Einaudi 2023

 

La bellezza è fragile, testimonia silente l’incrinatura di luce che sta nelle cose che abbiamo sotto gli occhi e che non siamo più in grado di riconoscere.

Si sta di fronte al suo bagliore come disarmati, inermi, a bocca aperta, come abitati da una sensazione di turbamento – risuona qui l’eco del meravigliato sgomento che dalla tragedia greca giunge a noi – e che ci tiene appesi al filo del respiro, sempre pronti a cadere con chi cade, perché segretamente custodi della rinascita. Dice Nick Cave: «C’è anche una perdita di sé, la sensazione di essere spazzato via da qualcosa di più grande». Passeggeri dentro una tempesta.
Ciò che dell’arte profondamente mi attrae è la poesia capace di nominare questa condizione di fragilità: la sua sostanza è ritmo e disequilibrio, una forma apparentemente perfetta in cui affiora la sua qualità precaria, quella stessa consistenza che appartiene al sogno e che prende forma nell’urto con la materia della scena. «Posso scrivere solo profetando / nel rapimento della Musica / per eccesso di seme o di pietà», scrive Pasolini.
Il mestiere del teatro è il mestiere effimero per eccellenza, passeggero, volatile, fragile. Le parole che diciamo, le azioni, scompaiono alla vista ma vivono dentro i cuori e le menti delle persone che condividono questa esperienza con noi.

Dunque, per te, qual è l’obiettivo comune?

Essere meravigliati. Fare esperienza di un comune senso di meraviglia. Riesco a percepirlo sul palco e a vederlo negli occhi della gente. E lo provo io stesso. È certamente qualcosa che ho sentito molte, infinite volte ai concerti di altri artisti. Riguarda il raggiungere uno stato d’animo condiviso e vitale attraverso la musica – a volte per un momento, a volte per un concerto intero. Tutti lo abbiamo sperimentato. Non è solo una liberazione fisica, pure se c’è anche quella, ma è essere abbracciati da un artista nel momento cruciale dell’espressione – essere meravigliati, secondo dopo secondo, dal modo in cui una canzone o un brano musicale si dipana, essere abbracciati sull’orlo delle lacrime dalla drammaticità del tutto, ed essere, in quanto “spettatori, attori fondamentali del dramma stesso. Questa è la cosa straordinaria.

da Fede, speranza e carneficina di Nick Cave e Sean O'Hagan, La nave di Teseo 2022

 

Valter Malosti
direttore Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale